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Time to Travel

We load the suitcases and we are ready to go. The goal is not the best known, but the conditions are excellent. After a night of travel, immersed in the snow, we cross the border with Austria. Destination Graz.

The group of travelers is fun and varied: students, teachers, university collaborators and a driver. Loads of sandwiches and cameras.

We arrive in a quiet, livable and organized city, with a high percentage of contemporary architectural works and a few Italian waitresses. The hand of the architects is recognizable, the "Grazer Schule" is not part of the university program and yet knowing it seemed important for our course of study. But architecture is not the only thing encountered on this trip and neither is beer or sacher. The university centers and the tour around the city have shown us a reality that is not too far away for kilometers, but different from ours. A different culture and way of experiencing the city, history and places. The profession of the architect is also this, to find the most suitable way of living. Four days of red roofs and immense windows, an unthinkable contrast sometimes (the Italian superintendency would not agree too much) but of wonderful effect.

Napping a bit, we went home (as they always say after a trip) with a suitcase full of interesting ideas to start again and let's admit, even full of chocolate.

Erica Scalcione // Chiara Silenus

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W - In università ci hanno sempre insegnato che fare buona architettura vuol dire progettare in relazione al territorio. Nelle sue architetture sono sempre evidenti la lettura del luogo e lo studio del contesto. Architettura e città diventano inscindibili possiamo vederlo chiaramente anche nel nuovo edificio della scuola Giuseppe Mazzini. Tornando quindi alla sua maniera di progettare quale elemento è indispensabile andare a considerare per coniugare perfettamente le due cose, architettura e città.

C’è un metodo per non sbagliare l’inserimento di un’architettura in un contesto? Qual è la prima cosa che lei studia quando deve insediare un nuovo progetto?

GV - Io credo che sia una questione di ascolto, detta in maniera molto sintetica. Ci sono da ascoltare delle cose, ed essere disposti ad ascoltare, spesso tutti noi siamo troppo orientati a fare e a parlare e non ad ascoltare e quando dobbiamo ascoltare un po’ ci annoiamo; ma non ascoltare solo ciò che ci dice la signora Maria, ascoltare quello che ci dice il territorio, quello che ci dice il committente, quello che ci dice il costruttore, quello che ci dice magari anche per trasposta persona il tipo edilizio che andiamo a progettare. Dobbiamo essere in grado ad ascoltare e di trasporre e tradurre questi elementi di imput in architetture senza forzare la mano. Tutti noi ci innamoriamo di architetture, di un materiale, e soprattutto quando si è giovani nei primi progetti, cerchiamo di mettere di tutto, e in quel momento stiamo già sbagliando.

L’università tenta di mettere tante cose insieme perché non ha scelta, spesso i corsi sono troppo brevi, i corsi durano mesi, mentre i progetti durano anni, spesso si è costretti a farli in tempi molto rapidi; tutti gli architetti che arrivano nel nostro studio alle prime armi spesso hanno il problema di non governare l’architettura, sono tutte architetture fatte con photoshop e illustrator e non governate a livello di pensiero, il disegno è un momento per mettere su carta l’architettura che abbiamo in testa così come la scrittura lo è per uno scrittore, deve avere una storia, altrimenti c’è il rischio che scrivi delle frasi tanto per scriverle, e questo rischio è fortissimo. Poi c’è un tema di strumenti proprio di studio, l’architettura non è solo empatica l’architettura  è una cosa in cui devi studiare, devi studiare anche le cose che sembrano non avere nulla a che fare con l’architettura ma che hanno a che fare con la normativa, la scienza dei materiali, ma sono elementi importantissimi.

W- Il suo progetto Riviera 107 è un intervento di rigenerazione urbana. Questa palazzina dal momento che è inserita in un contesto del tutto compromesso, molto fitto e antropizzato come può divenire singolarmente il punto di forza di tutto il contesto?

 

GV - Evidentemente spesso ci ritroviamo ad intervenire in tasselli che sarebbero troppo piccoli rispetto a quello che vorremmo fare, però il nostro committente richiede quell’intervento;  la nostra ambizione e ciò che proviamo a fare è far si che quell’elemento sia un fulcro che poi si irradia nel contesto, come quando tiri una pietra in uno stagno fa un buco piccolo ma che genera un riverbero.  Questo è quello che proviamo a fare, poi qualche volta ci riusciamo qualche volta no, qualche volta il contesto recepisce qualche volta no.

Intervista a cura di

Anna Di Matteo _ Laura Ganimede _ Marigiusi Pacifico

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